|
ILDISCO VOLANTE SOPRA IL VENETO
E LA CUCINA FUTURISTA
i 99 anni di un manifesto
"Il pranzo perfetto esige (…) la
creazione di piccoli bocconi simultanei e cangianti
che contengano dieci, venti sapori da gustare in pochi attimi.
Questi bocconi avranno nella cucina futurista
la funzione analogica intensificante
che le immagini hanno nella letteratura…"
Filippo Tommaso Marinetti
|
Il 20 febbraio 1909, il “Figaro” di Parigi pubblicava
il Manifesto del futurismo di Filippo Tommaso Marinetti. Seguirono
molti manifesti “tecnici” delle nuove arti e della nuova
società secondo i futuristi, tra cui, nel 1930, sulla “Gazzetta
del Popolo” di Torino, il Manifesto della cucina futurista.
A 99 anni dal primo manifesto, il nostro vuole essere un omaggio al
coraggio e allo sprezzo del pericolo di Marinetti che non esitò
a “condannare” la pastasciutta definendola “vivanda
passatista perché appesantisce, abbrutisce, rende scettici,
lenti, pessimisti” e promosse una cucina che oggi appare attualissima
seppure antitesi del più classico Made in Italy. Ma l’omaggio
è anche a Tinto Brass, regista veneziano autore nel 1964 del
“Disco volante”, un’opera che prendeva i marziani
e gli ufo come pretesto per raccontare, con lievità, tic e
vizi della società veneta.
Panecinema propone una serata da tenersi nello spazio Pedrocchi della
Fiera del Libro di Torino, proiettando il film alla presenza del regista
(eventualmente da contattare) e facendo precedere la proiezione del
film da un vero e proprio “banchetto futurista”. Se si
ritiene che la proiezione non sia fattibile (il film dura 94 minuti)
l’alternativa proposta è di mantenere il banchetto futurista,
lasciando scorrere le immagini del film, mantenendo comunque l’omaggio
a Brass, che seppe dirigere Alberto Sordi nella sua unica “incursione”
nella fantascienza, ritraendo con sguardo vivace il Veneto di allora
(e non solo di allora). Abbiamo voluto abbinare “Disco volante”
e serata futurista, perché come Marinetti, anche Brass, nella
sua carriera, ha combattuto battaglie perse in partenza, ma ha innovato
il gusto e l’immagine cinematografica. Non è nascosta
infine la volontà di portare a Torino le riprese di un paesaggio
veneto ricco di mistero.
Il pane preparato per la serata è il “nostro” pane
biologico, cotto a legna e fatto esclusivamente con una pasta madre
centenaria e farine biologiche.
|
|
|
LE RICETTE
Giostra d'alcol
Formula dell’aeropittore futurista prampolini
2/4 di vino barbera
¼ di cedrata
¼ di bitter campari
Nel liquido vengono immersi, infilati in uno stecchino, un quadrato
di formaggio e un quadrato di cioccolata
Aereoporto piccante
Formula dell’aeropittore futurista caviglioni
Un piatto di insalata russa alla maionese coperto di verde. All’intorno
medaglioni variati composti di panini imbottiti d’arancio,
bianco d’uovo e frutta mista. Con burro colorato in rosso
ed acciughe o sardine formare nel campo verde sagome d’aeroplani
Antipasto intuitivo
Formula della signora colombo fillia
Si svuota un arancio a forma di canestrino nel quale si dispongono
qualita’ differenti di salame, del burro, dei funghi sottaceto,
dell’acciuga e dei peperoncini verdi. Il canestrino profuma
i diversi elementi di arancio. Nell’interno dei peperoncini
si nascondono dei biglietti con frasi di propaganda futurista a
sorpresa (il futurismo e’ un movimento antistorico, vivere
pericolosamente, medici, farmacisti e becchini con la cucina futurista
rimarranno disoccupati.
|

|
|
IL DISCO VOLANTE di Tinto
Brass 1965
Alberto Sordi, Monica Vitti, Eleonora Rossi Drago, Silvana Mangano,
Guido Celano, Alberto Fogliani, Liana Del Balzo, Albino Principe,
Carlo Mazzarella, Lello Bersani
Un disco volante atterra nella campagna di un paesino del
Veneto, e i carabinieri iniziano le indagini. Più di
una persona afferma di aver visto i visitatori extraterrestri
mentre una contadina - Vittoria - riesce addirittura a catturarne
uno, che vende al conte Crosara, l'effeminato proprietario
terriero della zona. La madre di costui però fa uccidere
il marziano, accusa la donna di truffa e spedisce il figlio
in manicomio, dove finiranno, gradualmente, tutti coloro che
hanno avuto contatti con i marziani, compreso il brigadiere
dei carabinieri.
Sordi interpreta 4 ruoli diversi.
|
________________________________________________________________________________________
|
IL
PAESAGGIO RIPRESO
itinerari fuori e dentro
l'acqua tra piatti e pellicole
|
|
|
|
Il progetto
Abbiamo pensato a una rassegna di quattro film che abbiano come
tema l’acqua. Il luogo in cui proietteremo i film e faremo
le nostre serate di cinema e cucina, non è un luogo neutro,
ma un posto fatto d’acqua, dove la natura non arretra di fronte
all’uomo. L’acqua attraversa molti film, permea l’immaginario
del cinema in modo costante. E così la cucina: per questo
abbiamo scelto quattro film con questo tema e quattro menu abbinati
al gusto delle pellicole, anzi, al colore delle pellicole. Le serate
saranno così a menu rosso, giallo, verde e viola in un continuo
andare e venire dentro gli elementi delle pellicole. Siamo partiti
da Ossessione di Luchino Visconti, perché
lì l’acqua è uno dei protagonisti della storia,
il contraltare drammatico alla passione senza speranza dei due amanti.
E con Ossessione (1943), girato in una zona di confine tra Rovigo
e Ferrara, non si poteva non proporre un menu a tinte forti, rosso
appunto, dove la tradizione gastronomica di quelle zone si lega
alle sensazioni del film: pomodorini secchi farciti, tagliatelle
fatte in casa al ragù, braciolone alla maniera della nonna
con pane fatto in casa alla farina di frumento, mini bavaresi di
fragole.
Il viaggio nell’acqua filmata parte <classico>, ma poi
approda subito ai ritmi moderni con Still Life
di Jia Zhang-Ke, prodotto in Cina nel 2006 e vincitore del Leone
d’Oro a Venezia. Al film, che è il viaggio verso l’ignoto
di un paese che rinuncia alla propria identità, abbiniamo
un menu verde, perché è quello il colore di un film
dove il passato rischia di trascolorare in un futuro incerto: frittata
di salvia e peperoncini verdi accompagnato dal pane biologico alle
olive ascolane, trenette al pesto con patate e fagiolini, crostata
alla menta. Si prosegue con un divertissement sui ritmi delle stagioni
di Kim Ki Duk, Primavera, estate, autunno, inverno…
e ancora primavera (2003) al quale è abbinato un
menu giallo, perché il film torna sempre al colore della
promessa, come la primavera: insalata siciliana di arance con pane
giallo di mais, vitello freddo alla provenzale con egg sauce e cicerchiata
al miele d’Acacia, un dolce tipico delle Marche dal caratteristico
colore ambrato. Il finale è affidato all’esplorazione
degli abissi, alla forza ineluttabile della natura, con un misterioso
menu viola abbinato a Il ritorno di Andrej Zvyagintsev,
anch’esso vincitore del Leone d’Oro a Venezia nel 2003:
insalata di melanzane, pomodori e mollica tostata accompagnata da
pane integrale alle olive di Gaeta, parmigiana, schiacciata all’uva
e tarte all’aceto balsamico.
Il pane preparato per le quattro serate è il “nostro”
pane biologico, cotto a legna e fatto esclusivamente con lievito
madre e farine. Durante la rassegna, in una data da concordare,
sarà possibile per gli ospiti partecipare alla preparazione
del pane, con una lezione del nostro panettiere e la possibilità
di portare a casa un sacchetto di pasta madre, per provare a rifare
a casa il pane di panecinema.
|
_________________________________________________________________________________________
|
PROIEZIONI
DEL VENETO
Itinerari della regione tra piatti e pellicole
|
di ROVIGO
Ossessione di Luchino Visconti
(1943)
|
|
|
|
Un giovane vagabondo, Gino Costa (Massimo
Girotti) arriva a bordo di un camion in un casolare sulle rive del
Po. Il proprietario è Giuseppe Bragana (Juan De Landa) che
gestisce uno spaccio insieme alla giovane moglie Giovanna (Clara
Calamai). Gino viene da questi ospitato.
Una relazione si intesse tra Giovanna e Gino, i due decidono di
scappare, ma la donna che non si sente di affrontare una vita da
vagabonda, ritorna al casolare prima che Bragana si accorga della
fuga.
gli propone di unirsi a lui negli affari.
Dopo diverso tempo i coniugi Bragana, si recano ad Ancona, dove Giuseppe
partecipa ad un concorso per cantanti dilettanti. Qui incontrano Gino
e il marito, che ha della simpatia per lui lo convince a ritornare
con loro allo spaccio.
Il sentimento si riaccende tra i due amanti e Giovanna e Gino decidono
di uccidere Bragana simulando un incidente stradale.
Il rapporto tra i due amanti non è felice, il rimorso per il
delitto compiuto, la paura di essere scoperti dalla polizia. Inoltre,
Gino crede di essere strumentalizzato dalla donna per la riscossione
dell'assicurazione, ciò lo rende irrequieto ed insofferente
alla vita che conduce. Lascia Giovanna per una per ballerina-prostituta,
Anita (Dhia Cristiani).
Quando viene a conoscenza che Giovanna aspetta un bambino si riconciliano
e decidono di abbandonare lo spaccio. Ma un incidente con la macchina
toglie la vita alla donna e Gino viene arrestato dalla polizia.
LA CUCINA
Rovigo, città capoluogo del Polesine posta fra il Po e l'Adige,
ma più vicina a quest'ultimo in una zona che è fra
le più fertili pianure d'Italia. Le colture principali sono
il frumento, la barbabietola, il mais, il tabacco, non vi sono siepi
e l'arboratura è più scarsa (in prevalenza pioppi
e salici). Seguono verso oriente le "valli", dove vi sono
pochi "casoni" (di pescatori); frequenti anche la risaia
e il canneto. Tra le diverse colture del Polesine i cereali sono
al primo posto, coprendo circa un terzo della superficie agraria.
Nell'allevamento vi è una grande prevalenza del bestiame
bovino ma anche l'allevamento del pollame trova condizioni favorevoli
date le ricche colture granarie.
Una terra molto produttiva che ha consentito lo sviluppo di una
gastronomia legata a tali prodotti con poche differenze fra le tradizioni
cittadine e quelle della campagna. Anguille e pesci d'acqua dolce
vengono preparati sia in tegame che alla brace e sono accompagnati
spesso dalla polenta che anche in questa zona domina incontrastata.
Tipico e pregiato è lo storione del Po che si trova a Rovigo
e in tutta la zona delle "valli": lesso, in umido, fritto,
arrosto. Le uova danno un caviale squisito, molto più tenero
di quello russo. Molto ricca è anche la cacciagione, specie
quella acquatica delle zone vallive. Germani reali, codoni, fischioni,
murette, arzàvole, folaghe, chiurli, aironi trovano nella
cucina di Rovigo e della sua provincia cottura gloriosa con procedimenti
particolari: spesso il tartufo bianco locale vi aggiunge nobiltà
e ricchezza.
Importante l’allevamento del maiale che viene lavorato in
vari insaccati fra i quali famosa è la «bondiola affumicata»,
tipica del Basso Polesine, soprattutto tradizionale nelle zone di
Ariano, Taglio di Po e Porto Tolle. Si tratta di carne di maiale
tritata grossolanamente, mescolata con pepe e sale, insaccata nella
vescica del maiale e appesa ad asciugare. È un prodotto da
consumare fresco, bollito lentamente per quattro ore. La «bondiola»
è presentata come pietanza, con purea di patate o verdure
cotte.
Vi è poi la «bondiola di Adria», carne magra
di vitello macinata insieme con fesa di maiale e lardo. L'impasto
viene insaporito con sale, pepe e vino rosso e insaccato nel budello
cieco del bue o nella vescica del maiale. Cucinata con le stesse
regole della salama: lunga bollitura sospesa in acqua senza toccare
le pareti della pentola. Si serve tagliata a spicchi su un letto
di purea di patate o di verdure saltate al burro.
Dolce tipico del Polesine è la «torta polesana o miassa»,
la cui ricetta venne codificata nel 1829 da un cuoco pasticciere
dell'epoca, Angelo Basso, ed è stata riportata in auge negli
anni Ottanta. Appartiene alla famiglia dei dolci molto ricchi di
origine rinascimentale, considerato l'impiego di canditi, uva passita
e fichi secchi che, tritati minutamente, vengono amalgamati all'impasto
fatto con farina gialla e bianca, burro, uova e zucchero.
|
di TREVISO
Il disco volante di Tinto
Brass (1965)
|
|
|
|
Alberto Sordi, Monica Vitti, Eleonora
Rossi Drago, Silvana Mangano, Guido Celano, Alberto Fogliani, Liana
Del Balzo, Albino Principe, Carlo Mazzarella, Lello Bersani
Un disco volante atterra nella campagna di un paesino del Veneto,
e i carabinieri iniziano le indagini. Più di una persona
afferma di aver visto i visitatori extraterrestri mentre una contadina
- Vittoria - riesce addirittura a catturarne uno, che vende al conte
Crosara, l'effeminato proprietario terriero della zona. La madre
di costui però fa uccidere il marziano, accusa la donna di
truffa e spedisce il figlio in manicomio, dove finiranno, gradualmente,
tutti coloro che hanno avuto contatti con i marziani, compreso il
brigadiere dei carabinieri.
LA CUCINA
Un piatto che nella cucina trevigiana occupa un posto di tutto rispetto
è il bollito: scapino di manzo, gallina, lingua, testina,
cotechino o bondiola, talvolta lingua salmistrata. Una variante
povera ma gustosa del ricco e costoso bollito è la «ossada»:
ossa di vitello e di manzo, ricche di parte gelatinosa delle cartilagini;
talvolta vi si aggiungevano pezzi di coda e zampetti di vitello.
Si serviva il tutto bollente in un gran piatto, accompagnando con
la ciotola del sale grosso, e con una radice di cren da grattugiare
direttamente sul proprio piatto.
Quando la stagione diventa fredda e la rugiada diventa brina al
mattino, nel Trevigiano si usa consolarsi il cuore, attraverso una
zuppa corroborante, che quasi sempre è di trippe. Trippa
del consolo e del ristoro offerta, al mattino, nei giorni felici
degli sponsali, agli amici che vanno a prelevare lo sposo o la sposa,
ed è come l'inizio di un rituale gastronomico che dura poi
per una giornata intera.
Anche la pasta e fagioli è un vero classico della gastronomia
veneta e di Treviso in particolare; una minestra che richiede una
lunga cottura e molti ingredienti aromatizzanti pronta ad accogliere
le tradizionali «tirache», denominazione dialettale
delle bretelle che in gergo culinario-popolaresco definiscono una
qualità di tagliatelle di semola di grano, piuttosto consistenti,
impastate senza uovo che però possono essere sostituite sia
dagli spaghetti sia dalle tagliatelle all'uovo, sia infine dal riso.
Nella Marca Trevigiana il maiale ha avuto sempre un ruolo assolutamente
primario nell'alimentazione, specialmente delle campagne. Del maiale
si utilizzava tutto. Dopo l'animata festosità della giornata
dell'uccisione, la grande cucina accoglieva per qualche giorno i
vari insaccati perché si asciugassero al calore e al fumo
del focolare. C'erano festoni di "luganeghe" da "rosto"
e da brodo e molti bastoni erano appesi parallelamente alle travi,
e da questi pendevano, gocciolanti di umori, i musetti, i cotechini,
le bondiole, i salami, le soppresse, gli ossocolli e la vescica
piena di strutto. Con il sangue del maiale si preparavano i «baldoni»,
o budini, o torte, o «el sangueto» da cuocere a pezzetti
come il fegato alla veneziana. Con la parte del collo del maiale
che, appeso a testa in giù, riceveva il sangue così
che la carne si inscuriva, si preparavano le «martondele»
che sono delle polpette aromatizzate e passate nella farina da polenta;
si guarniscono di una foglia di salvia e si avvolgono in un quadrato
di reticella di maiale e si cuociono nella graticola o in padella.
A Treviso è d'obbligo gustare «l'oca arrosto con il
sedano in insalata» o i numerosi animali da cortile: pollastre
e "paete" (tacchini) cucinate con vari intingoli come
quello, tipico della stagione fredda, a base di melograni, che accompagnano
tradizionalmente il tacchino arrosto.
Fra le varie proposte gastronomiche offerte dagli svariati animali
da cortile (dall'anatra all'oca, al tacchino, alla faraona ecc.)
la «terrina di faraona». Simili alle ricette degli animali
da cortile sono quelle della caccia dominata dalla lepre che offre
un piatto sontuoso con il «civet di lepre».
Fra i pesci la trota è il più raffinato e viene proposta
nelle più svariate preparazioni e anche affumicata. Non mancano
però le anguille, i gamberi d'acqua dolce, il luccio, lo
storione, il pesce gatto ecc. ecc. anche se i pesci nella tradizionale
cucina regionale sono considerati non tanto leccornie quanto "mangiare
di magro". E infine la rana che fu cibo dei poveri apprezzato
anche dai ricchi. In tempi di astinenze e di digiuni le rane avevano
un loro ruolo importante, trasformate in zuppe, in "potacetti",
"guassetto", in risotti, in fritture croccanti. Le rane
entrano anche in certe preparazioni di magro "alla certosina",
talvolta accoppiate con polpa di gamberi di fiume, o con "saletti"
d'acque dolci o salmastre. Carni e pesci non escludono un'abbondante
messe di erbine e ortaggi: dalle primule (ottima la frittata), al
crescione, agli asparagi, al radicchio trevisano. E non mancano
i funghi che vengono cucinati nelle più svariate qualità
e modalità.
Tipici i dolci secchi come i «bianchetti», gli «ossi
da morto», i «zaletti», le «lingue di gatto»
ecc. ecc. Si passa poi ai più elaborati come la «torta
fregolotta» (oramai diffusa in tutta l'Italia settentrionale),
le focacce, la «zuppa inglese al caffè» (tiramisù),
la «bavarese» e i vari sorbetti.
|
di PADOVA
La moglie del Prete di Dino
Risi (1971)
|
|
|
|
Un film di Dino Risi. Con Sophia Loren,
Marcello Mastroianni, Venantino Venantini, Pippo Starnazza, Gianni
Cavalieri, Miranda Campa, Nerina Montagnani, Brizio Montinaro, Jacques
Stany, Giuseppe Maffioli, Dana Ghia, Augusto Mastrantoni
Valeria Billi, decisa a suicidarsi per una delusione sentimentale,
telefona a "voce amica". L'uomo che le risponde e tenta
di dissuaderla è un sacerdote, Don Marco, ma la ragazza non
lo sa. Don Marco non riesce a convincerla, ma quando il tentativo
di suicidio fallisce, Valeria cerca di conoscere il suo misterioso
salvatore. Lo trova e, avendo visto che si tratta di un sacerdote,
rimane delusa, ma poi inizia a frequentarlo e se ne innamora. Anche
Don Marco è attratto dalla ragazza, ma sta per diventare
Monsignore..
LA CUCINA
Le tradizioni di Padova e del suo territorio, grazie alla vicinanza
geografica e culturale con Venezia, anche da un punto di vista gastronomico,
oscillano fra la raffinatezza della cucina ricca veneziana e quella
più semplice, legata ai prodotti della terra propria della
campagna.
Se da un lato dunque, per quanto riguarda il pesce sia povero che
di lusso la cucina padovana, si rifà a quella veneziana di
cui conserva sapori e tradizioni, dall'altro per quanto riguarda
la cucina di terra, legata alla campagna e alla fiorente agricoltura,
la cucina padovana è vicina a quella della Val Padana dove
abbondano gli ortaggi e gli animali da cortile, senza nulla togliere
però all'allevamento e al consumo di carni bovine e di maiale
che viene sia cucinato in vario modo fresco sia lavorato per ottimi
insaccati e per il famoso prosciutto berico. La zona tipica in cui
la coscia del maiale viene trasformata e diventa prosciutto berico-euganeo
si estende nell'area padana e pedemontana dei Colli Berici e di
quelli Euganei, nelle provincie di Padova, Vicenza e Verona. La
carne arriva nei prosciuttifici dove viene sottoposta ai tradizionali
procedimenti di toelettatura, salagione e stagionatura. Il processo
di preparazione del prosciutto berico-euganeo è a metà
fra quelli di Parma e di San Daniele. È sottoposto a una
parziale pressatura. Il prosciutto berico-euganeo è utilizzato
prevalentemente come antipasto, da solo, con accompagnamento di
melone o fichi nella stagione estiva, ma anche impiegato come ingrediente
per il ripieno di ravioli o tortelli e per arricchire fondi di cottura
di sughi per pastasciutte.
Tortelli di zucca dolce conditi con burro e formaggio, risotti con
asparagi o piselli o radicchio o, in primavera, con i bruscandoli,
sono i primi piatti tipici di questa terra dove il cibo è
sempre gustoso. Tipica è la «polenta fasoà»,
preparata cuocendo la farina di granoturco bianco con una zuppa
di fagioli lessati arricchita da strutto di maiale.
Per i secondi ricordiamo come specialità «l'anatra
all'arancia» cucinata in vari modi tutti molto gustosi; ma
in questa terra trovano varie e saporite utilizzazioni tutti gli
animali da cortile cucinati ripieni, arrosto o anche nelle grigliate
miste dove la salsiccia molto speziata ha il compito di profumare
tutte le carni. Da ricordare è la famosa «oca in onto»,
cioè l'oca sotto grasso che le famiglie veneziane e padovane
preparavano per conservare sufficienti scorte di carne nutriente
e di grasso per l'inverno.
Anche nel settore dei dolci le tradizioni veneziane dominano con
i «baicoli», i «golosessi», i «zaleti»;
a questi si aggiungono quelli di tradizione austriaca, primo fra
tutti la famosissima «Sacher» che ha ormai raggiunto
una vasta diffusione fino al centro Italia e la meno conosciuta
ma non meno squisita «Dobos».
Nel Veneto ogni pranzo si conclude con il liquore, costituito prevalentemente
dalla grappa spesso lavorata alla frutta o aromatizzata alle erbe
di montagna.
|
di VENEZIA
Infanzia,
vocazione e prime esperienze del casanova veneziano di
Luigi Comencini (1969)
|
|
|
|
Un film di Luigi Comencini. Con Maria
Grazia Buccella, Tina Aumont, Senta Berger, Raoul Grassilli, Leonard
Whiting, Nino Vingelli, Evi Maltagliati, Linda Sini, Gigi Reder,
Umberto Raho, Mario Scaccia, Ennio Balbo, Lionel Stander, Sandro
Dori, Jacques Herlin, Ida Meda, Isabella Savona, Clara Colosimo,
Gino Santercole, Silvia Dionisio, Wilfrid Brambell, Sara Franchetti,
Elisabetta Fanti, Loredana Martinez.
Figlio di attori, il piccolo Giacomo Casanova, rimasto orfano di
padre, viene affidato alla madre, ansiosa di liberarsi di lui, alla
protezione di un nobile tanto avaro, quanto pieno di sé.
Inviato a studiare a Padova, Giacomo, mal nutrito e peggio alloggiato,
viene preso a benvolere e ospitato in casa da Don Gozzi, un prete
generoso ma intransigente e severo, il quale, notata la viva intelligenza
del bambino, lo avvia, come unico mezzo per farsi strada fra i potenti,
agli studi ecclesiastici. Tornato a Venezia, in veste d’abate,
ed entrato nelle grazie di un patrizio, Giacomo tiene, per merito
suo, la prima predica in chiesa al termine della quale trova, mescolati
ai soldi della questura, alcuni biglietti amorosi. Quando s’accorge
che le donne - dame e converse comprese - cominciano a ronzargli
attorno, la sua vocazione vacilla; si fa iniziare all’amore
da una meretrice; poi ‘ una contessina, che la madre ha destinato
al convento, di fuggire con lei; ma appena scopre che la ragazza
vuol diventare sua moglie, l’abbandona al suo destino e, gettato
per sempre l’abito talare, Inizia con due compiacenti amiche
della ragazza la sua carriera di impenitente libertino.
LA CUCINA
Gente di mare e di commerci i Veneziani capirono che il grano,
venuto di là dell'oceano verso la metà del Cinquecento,
era ideale per far polenta al posto dei ceci, del miglio o del grano
saraceno usati fino allora. Subito l'adottarono e ne diffusero la
coltivazione nelle terre più pingui della Repubblica. Le
preparazioni più classiche la vedono insieme agli «osei»
e al baccalà, ma la polenta è presente ovunque: la
si ritrova abitualmente anche in tutte le trattorie tipiche come
compagnia di piatti svariatissimi.
Il campo dei "piatti di mezzo" è occupato da due
categorie di preparazioni che hanno come ingredienti il pesce. In
buon risalto anche le interiora, e particolarmente il fegato, la
cui cottura «alla veneziana» (cioè in un soffritto
di abbondanti cipolle) è ormai un classico della cucina nazionale.
Altro protagonista della tavola è il baccalà: si tratta
ancora di cibo “foresto” perché il merluzzo non
poteva certo attecchire in laguna, ma la Serenissima ne faceva arrivare
nel suo porto quantità ragguardevoli che poi prendevano la
strada dell'interno per essere cucinate in molte varietà.
Il massimo traguardo nella preparazione del baccalà è
raggiunto a Venezia dal «baccalà mantecato».
Il miglior accompagnamento per questo trionfo del baccalà
è la polenta.
L'Adriatico, la laguna, le "valli" padane offrono innumerevoli
varietà ittiche, crostacei e molluschi; molte specie vengono
coltivate in recinti chiusi nel vastissimo estuario veneto: sono
anguille ("bisà"), muggini, orate, branzini, sogliole,
ghiozzi, granchi, capesante.
Ma le creazioni veneziane non riguardano solo il pesce ricco e pregiato
ma anche quello che toccava alla povera gente, non sempre freschissimo
e di prima qualità. Il popolo lagunare ha inventato il «saor»,
che è una salsa, una marinata a base di cipolle fritte, aceto,
spezie, con pinoli e uvetta per ammorbidire il "forte",
con la quale si mettono a insaporire (da "saor", appunto),
le sarde o le sogliole. Anche in queste ricette povere, i veneziani
si sono mostrati importatori curiosi e aperti: così, per
esempio, si chiamano «mogiu alla greca» le sarde cucinate
secondo il modo che qualche marinaio portò dall'Egeo. Sono
messe in tegame a strati con un soffritto dove si fa sentire il
limone e (eccezionalmente) l'aglio, e poi cotte in forno.
La carne è poco in uso, a parte gli animali da cortile cucinati
ripieni e molto aromatizzati. Altra ricchezza della cucina veneziana
proviene dagli ortaggi: le verdure sono eccellenti ovunque e in
particolare negli orti che costeggiano il litorale tra Mestre e
Chioggia, Cavallino e Sant’Erasmo, dove domina incontrastato
il carciofo violetto.
Il settore riservato ai dolci vede in primo piano i «baicoli»,
biscottini secchi e sottili, i «golosessi» (spiedini
di fichi e albicocche, albicocche seccate e noci passati al caramello)
e tutta la pasticceria di derivazione austriaca che troneggia nelle
migliori pasticcerie assieme a focacce di vario tipo e alle cotognate
che assumono varie forme e sono tradizionali delle feste novembrine,
oltre, naturalmente, al dolce di San Martino, preparato l’11
novembre.
|
di VERONA
L’Estate
di mio fratello di Pietro Reggiani (2005)
|
|
|
|
Sergio è un solitario bambino di nove anni che preferisce
vivere nel suo mondo fatto di immaginazione e fantasia, piuttosto
che frequentare i suoi coetanei. Il suo rapporto, già difficile,
coi genitori, peggiora ulteriormente quando viene a sapere che un
fratellino, frutto di una gravidanza non voluta, è in arrivo.
Timoroso di perdere le già scarse attenzioni dimostrategli
dalla famiglia, Sergio comincia a desiderarne ed immaginarne ardentemente
la morte. Quando la madre ha un aborto spontaneo però, Sergio
si sente in colpa, credendo di essere stato in qualche modo responsabile
della disgrazia. Dopo aver peregrinato per troppo tempo alla ricerca
di un distributore, quest’opera prima del capace Pietro Reggiani
arriva finalmente nei cinema nostrani. Lo sceneggiatore/regista
è bravo a rappresentare l’immaginario dei bambini e
riesce a portare sullo schermo le loro emozioni, paure, speranze
e illusioni, utilizzando mezzi toni, momenti godibilmente surreali,
virate umoristiche ed accenti drammatici. La crescita è un
passaggio doloroso, pieno di insidie e la maturazione del personaggio
di Sergio avviene lentamente ma inesorabilmente: alla fine anche
lo spettatore avrà imparato qualcosa di più sul mondo
dei bambini. Nel cast svetta la performance del bravissimo Davide
Veronese, che poco a nulla ha da invidiare alle “baby star”
americane, tanto è capace di fare proprie e rappresentare
in modo sincero e schietto le inquietudini del protagonista, diviso
tra cattivi pensieri e devastanti sensi di colpa.
LA CUCINA
L'anatra e la faraona imperano nelle tavole di tutto il Veneto
e di Verona in particolare, dove vengono accompagnate, come altre
carni, con la «peverada», la più famosa salsa
veneta. Si prepara con brodo, spezie, pangrattato, burro, salumi,
molto pepe e, a Verona, midollo di bue. Alcuni sostituiscono il
pepe col cren (ràfano) grattugiato: dice la leggenda che
con la «peverada» un cuoco di corte riuscì a
far tornare l'appetito a Rosmunda dopo la crudele bevuta impostale
da Alboino. Al di là della leggenda si tratta sicuramente
di una salsa molto saporita che viene servita anche con i bolliti
che nel Veronese sono sontuosi sia per l'ampia scelta delle carni
proposte sia per la cottura che non tiene conto del brodo ma è
attenta a conservare i sapori delle carni che sono sempre miste,
dal manzo alla vitella, agli animali da cortile, al castrato, per
non parlare degli insaccati di maiale. Gli arrosti soprattutto di
vitella non sono da meno: ricordiamo lo «stinco al forno»,
cotto molto lentamente sì da diventare tenerissimo e da rappresentare
una vera leccornia sia accompagnato da polenta o da patate arrosto
o da purea. Vi è poi la cacciagione cucinata in mille modi
fra i quali il salmì che conferisce ai volatili di grossa
taglia un gusto particolare.
In questa terra anche il rapporto con la farina di frumento è
molto radicato, ma legato soprattutto alla produzione di pasta fresca;
ricordiamo in particolare i «bigoli», una sorta di spaghetti
fatti in casa, talvolta fatti con la farina ricca della propria
crusca o anche con il grano duro. Vengono conditi per lo più
con un sugo fatto con pezzetti di carne mista insaporiti con cipolla
e talvolta anche con il sugo dell'arrosto e spolverati con abbondante
formaggio grattugiato; famosi sono quelli bolliti nel brodo di anatra
e conditi con un sugo a base di frattaglie di anatra insaporite
con burro e olio. Non manca fra i primi piatti il riso. Nel Basso
Veronese ai confini con la Lombardia, verso Mantova, vi sono vaste
coltivazioni di riso che hanno come centro riconosciuto la cittadina
di Isola della Scala, dove si coltiva il vialone nano. La ricetta
classica di Isola della Scala è un risotto molto saporito
con l'intervento di pasta di salamella e generosamente condito con
grana padano. L'alta qualità del vialone nano ha portato
alla creazione di quaranta piatti diversi fra i quali i più
famosi sono «risi e bisi» e «risi e figadini».
Fra gli antipasti gli «sfilacci di cavallo», carne secca
da gustare con olio e limone come la bresaola.
Fra i formaggi il «monte veronese», un formaggio che
ha molte analogie con l'asiago.
Per quanto riguarda i dolci i più diffusi sono l'«offella»
e il «pandoro».
Per i veronesi l'«offella» non è il biscotto
secco, come accade nel Milanese e nel Pavese, ma un dolce sontuoso
di grande tradizione, che ha il suo centro di maggior produzione
a Bovolone: è un soffice e profumato pane dolce lievitato
ricco di burro, appena coperto da una glassa croccante di zucchero.
Di tradizione antica, si potrebbe considerare l'antenato ufficiale
del pandoro. Caratteristico dolce natalizio, viene preparato adesso
tutto l'anno.
|
di BELLUNO Amanti
di Vittorio de Sica (1968)
|
|
|
|
Regia: Vittorio De Sica
Interpreti: Marcello Mastroianni, Faye Dunaway, Enrico Simonetti,
Caroline Mortimer
Dopo un primo, casuale incontro in un aeroporto, un ingegnere italiano,
Valerio, e una bella signora americana, July, si ritrovano e trascorrono
insieme alcuni giorni in una villa di Cortina. Valerio ignora che
la donna sta per morire a causa di un male incurabile. La rivelazione
improvvisa gli giunge da un'amica di July, venuta a prenderla per
indurla a farsi operare. Quando scopre che Valerio conosce il suo
terribile destino, July si fa tentare dall'idea del suicidio.
LA CUCINA
La cucina è ovunque molto legata alla montagna: oltre alla
storica polenta comprende formaggi e tutti i derivati del latte,
funghi, cacciagione, maiale con tutti i relativi lavorati e carni
bovine.
Un elemento unificante di tutte queste zone è certamente
il fagiolo: famosissimo quello di Lamon, che viene messo a cuocere
in acqua fredda con aggiunta di cipolla e aromi vari e con un condimento
che può essere un osso di prosciutto o cotenna fresca di
maiale. La già citata "covatura" costituisce la
tecnica di cottura di uno dei piatti tipici più ricchi e
prelibati: la «sopa coada». Più che una zuppa
è una specie di sformato che alterna fette di pane intrise
nel brodo e piccione disossato. Una variante più ricca è
quella che al piccione aggiunge cappone e/o tacchino, sempre alternati
a strati di pane e messi in una teglia di coccio. L'allevamento
di bovini è molto diffuso in tutta questa zona e la lavorazione
del latte vaccino produce formaggi di grande pregio come l'asiago.
Ne derivano poi produzioni importanti ma ancora in attesa di riconoscimento
d'origine e veri e propri sottoprodotti d'origine puramente artigianale
e di grande interesse come la ricotta e lo "schiz". Storico
è il formaggio Morlacco, un formaggio di malga ormai quasi
introvabile. Appartiene a una tradizione antica ed è fatto
con metodi che oggi sono considerati al di fuori di ogni regolamento:
è fatto con latte crudo, scremato, non pastorizzato, da una
cottura sola. La cagliata viene messa in canestri di vimini a sgocciolare
il siero.
Poi il formaggio Piave ottenuto da due mungiture, di cui una parzialmente
scremata per affioramento. È prodotto nella vallata del Piave
tra Belluno e Feltre, ha notevoli somiglianze con il più
noto montasio, del quale ripete in pratica la lavorazione. Altra
caratteristica della zona è quella degli insaccati di maiale
ma anche di altri animali. In montagna, accanto alla lavorazione
delle carni di maiale s'incontrano insaccati di capriolo, camoscio
e addirittura capra. Nelle zone rurali di pianura, dove il clima
umido rende più difficile la maturazione, c'è l'abitudine
ad affumicare determinati prodotti per poterne garantire una conservazione
più sicura.
Fra i dolci tipici i «bigarani», biscotti a forma di
ciambella schiacciata, fatti con pasta da pane già pronta
alla quale vengono aggiunti in un secondo impasto burro e zucchero.
Disposti su una placca da forno imburrata, subiscono una prima cottura,
riposano due giorni e quindi ritornano in forno per la biscottatura:
tradizione locale li vuole omaggio di buon augurio alle partorienti.
|
di VICENZA I recuperanti
di Ermanno Olmi (1970)
|
|
|
|
Un film di Ermanno Olmi. Con Antonio
Lunardi, Andreino Carli, Alessandra Micheletto, Pietro Tolin, Marilena
Rossi, Ivano Frigo, Oreste Costa, Mario Covolo.
Tornato a casa sull'altopiano di Asiago nel 1945 dopo la prigionia,
Gianni fatica a trovar lavoro. Il vecchio Du lo invita ad aiutarlo
a recuperare i residuati metallici (bombe inesplose) della guerra
1915-18. Profondamente radicato nella realtà dell'altipiano
dei Sette Comuni, di cui restituisce la dimensione dell'avventura
(e della libertà nell'avventura), ma anche riflessione sulla
demenza tragica della guerra, è il raro caso di un film d'autore
che nasce da un'esperienza collettiva, tagliato su misura sul favoloso
personaggio del vecchio Du (Toni Lunardi) che è perno, motore,
anima della storia. Questo gran vecchio non ha interpretato il film
da attore occasionale: se ne è impadronito fino a diventare
lui stesso il film. Scritto con Mario Rigoni Stern e Tullio Kezich.
LA CUCINA
Nelle tradizioni culinarie vicentine ha notevole importanza la
cultura della città di Venezia a cui questa terra è
stata legata per secoli. Da questo ambiente proviene la ricetta
del baccalà detto appunto alla vicentina, a base, tra l’altro,
di Parmigiano. È una finezza molto apprezzata consumare il
piatto ventiquattro ore dopo il termine di cottura, in questo caso
va reintiepidito a fuoco molto lento. Ma di ricette di baccalà
alla vicentina ce ne sono tante che provengono da vari ambienti.
Una, ad esempio, - tramandata in un convento di frati - richiede
l'uso di uvetta e pinoli; un'altra - di origine contadina - vuole
la cottura in forno con patate e sedani. Ciò che accomuna
le varie preparazioni è la cottura lunga e lenta, l'uso del
latte e l'accompagnamento della polenta fresca o riscaldata sulla
griglia.
Fra i piatti di carne il «porcello di latte alla vicentina»,
un maialino farcito e cotto in forno, di grande delicatezza per
l'amalgama che dà alla sua imbottitura la mollica di pane
inzuppata nel latte. O ancora il «capretto alle erbe»,
steccato e cotto in forno molto lentamente e accompagnato da polenta.
Esuberante la sfilata dei salumi: prosciutti, salami, «bòndole»,
ossocolli (corrispondenti alla coppa emiliana e lombarda), «museti»,
cioè cotechini, «luganeghe», cioè salsicce,
sanguinacci (che qui si chiamano «baldon»), salami d'asino
fortemente agliati. Tra i formaggi, il più celebre è
l'Asiago, che prende il nome dall'altopiano dove principalmente
si produce; a pasta dura e semidura, da grattugia e da tavola, già
al tempo della Serenissima veniva esportato nel Mediterraneo.
Un proverbio vicentino afferma che "chi ga santoli ga bussolai",
per dire che se si hanno padrini, "santi in paradiso",
cioè protezioni altolocate, si può vivere tranquilli.
I «bussolai» sono ciambelle tipiche di Vicenza e di
tutta la plaga fino a Bassano e Treviso, oltre che, naturalmente,
di Venezia, dove sono nate. L'impasto è ricco di uova e insaporito
da marsala, talvolta sostituito da grappa o anice. La superficie
è cosparsa di zucchero. Vengono consumate con vino dolce
a fine pasto, ma anche nelle merende intinte nella cioccolata in
tazza o altra bevanda calda.
Non mancano i sorbetti che hanno ancora - nei grandi pranzi - la
funzione di dividere il piatto di mezzo di pesce da quello di carne
e di allungare i tempi della tavola.
|
|